Cenni di araldica: lo stemma dei Da Correggio

La leggenda delle origini dello stemma dei da Correggio

Si legge nel Compendio delle croniche di Correggio e delli suoi Signori pubblicato nel 1881 sotto il titolo di Antichità Correggesche:
Carlo Magno mandò in Lombardia Giberto primo di questo nome ed utlino de’ fratelli de’ Conti D’Auspurg con titolo di Duca d’un esercito di Borgognoni in aiuto alla Chiesa Cattolica; ed avuta vittoria contro l’inimico, fabbricò Correggio, dandogli questo nome per un miracolo avuto dalla Beata Vergine, che lo cinse d’una coreggia bianca in una visione, e con quella combatté virilmente ed ebbe la vittoria; in virtù di quella pose il nome Correggio al castello che fabbricò, e da lui ebbe principio ed origine la casa e famiglia Correggi, portando nell’arma una fascia bianca in mezzo ad un campo vermiglio …

Questa origine “oltremontana” era già stata avanzata da Sansovino e, soprattutto, da Rinaldo Corso che nella sua Vita di Giberto Terzo di Correggio, detto il Difensore, pubblicata ad Ancona nel 1566, parlò dell’origine borgognona della famiglia:
Giberto d’Austria, ultimo fratello del duca di Borgogna, fu primo autorevole della vostra linea in Lombardia.
Poco oltre, rivestì di un alone leggendario anche la nascita dello stemma di famiglia: secondo la sua narrazione, Giberto I da Correggio, al seguito di Carlo Magno, la notte prima di una battaglia contro i Longobardi, ebbe in sogno la visione della Beata Vergine che l’avrebbe cinto di una fascia bianca tra due vermiglie prennunciandogli la vittoria.

Scudo di Manfredo da Correggio in uno dei capitelli della chiesa di S. Francesco: sotto l’aquila monicipite e i due leoni affrontati, si nota lo stemma antico dei da Correggio: di rosso alla fascia d’argento (bianco)

La somiglianza tra lo stemma correggesco e quello asburgico era già stata notata da Corso (che peraltro non pubblicò o citò alcun documento a sostegno delle sue ipotesi, che rientravano in una prassi consolidata nel Cinquecento di nobilitazione delle origini delle principali famiglie signorili) e, sempre secondo il nostro autore, tanto Massimiliano I quanto Carlo V avrebbero accettato la parentela tra le due famiglie dicendo: Siamo tutti d’un medesimo sangue.
Al di là delle leggende non provate, è indubbia l’analogia tra lo stemma antico dei da Correggio con quello degli Asburgo che si descrive nel seguente modo: di rosso alla fascia d’argento.
Esso, che costituisce oggi la bandiera nazionale austriaca, è infatti composto da tre bande orizzontali alternate rosso – bianco – rosso, come lo stemma dei da Correggio ed è documentato almeno fin dal 1230 in un sigillo attualmente custodito nel monastero di Lilienfeld (Niederösterreich).
L’origine dei colori risale, secondo la leggenda più famosa, ad un episodio avvenuto pochi decenni prima della realizzazione del sigillo cui prima si è fatto cenno, quando Leopoldo V di Babenberg, detto il Virtuoso, duca d’Austria dal 1177 al 1194, partecipando alla Terza Crociata, prese parte all’assedio di San Giovanni d’Acri nella primavera del 1191. In quell’occasione, il suo mantello (meglio, la sua veste) bianco si sarebbe insanguinato completamente ad eccezione di una striscia dove portava la cintura che sarebbe così rimasta bianca. Un’altra leggenda sposta l’episodio a Tolemaide (antico sito della Cirenaica) sempre nel 1191, con il duca che innalza come vessillo, per chiamare a raccolta i suoi prodi, il proprio sorcotto (sopravveste militare) intriso oramai di sangue e rimasto solo bianco al centro o in fascia, poiché il condottiero teneva una cintura molto larga. Dopo l’estinzione della famiglia nel 1246, i colori rimasero un distintivo dei territori che avevano governato e quando gli Asburgo divennero reggenti nell’Arciducato d’ Austria (a partire dal 1282) integrarono questi colori nel loro stemma.In ogni caso, le analogie con la leggenda creata da Rinaldo Corso, che certamente era a conoscenza di quella asburgica, sono palesi.
Da un punto di vista storico-araldico, si deve ricordare che il rosso, primo fra i colori dell’arme, è uno degli smalti principali usati e, richiamandosi al sangue versato in battaglia, rappresenta il valore, l’audacia, la nobiltà e il dominio. Il rosso e il bianco, inoltre, erano sovente presenti negli stemmi delle famiglie che aveva partecipato (o talvolta millantavano) alle Crociate tra XI e XIII secolo, quale segno distintivo delle loro imprese militari.
Qualità e virtù certamente ben presenti a Rinaldo Corso che su queste intese costruire la “sua” storia dei da Correggio e del loro stemma che, così, veniva ad acquisire un ruolo di primo piano nel suo progetto culturale di nobilitazione della famiglia.

Federico Barbarossa consegna  a Leopoldo V di Babenberg la nuova bandiera con i tre colori (H. Part, ca. 1490)

Stemma dei da Correggio in Via Roma

Alla fine del lungo portico di via Roma che conduce all’ingresso laterale della chiesa di san Francesco, proprio di fianco allo stesso, troviamo, murato sulla parte esterna del tempio, un piccolo, ma elegante stemma marmoreo, caratterizzato da un grande stemma araldico e dal una scritta all’apparenza misteriosa. Cominciano ad analizzarlo partendo delle lettere scolpite che ci tramandano, nella forma abbreviata in uso nel medioevo, il nome personale Gyber[tus]. La lapide faceva parte del monumento funebre di Giberto IV da Correggio che nel 1247 aveva sconfitto a Borghetto Taro le milizie di Federico II di Svevia.
La tipologia dello scudo, dell’elmo e degli svolazzi che da esso si dipartono suggeriscono una datazione ben dentro il XIV secolo, alcuni decenni dopo la morte del condottiero.
Lo stemma è semplice, ma elegante e lo scudo, dalla foggia particolare, riporta lo stemma originario della famiglia, diviso in tre fasce alternate rosse ai lati e bianca al centro. Sopra lo scudo è posto un elegante elmo coronato, dal quale pendono svolazzi e spunta una testa di cane con collare.
Da sottolineare è l’antichità del motivo decorativo “a fasce” presente nello scudo correggesco, tipico degli albori dell’araldica (secc. XII – XIII) e l’antichità dell’uso del rosso e del bianco anche per ricordare episodi militari di rilievo.
Si è detto in precedenza della forma inconsueta dello scudo. Si tratta del cosiddetto “scudo all’inglese” o “scudo a targa”, conosciuto anche (forse meglio) come “scudo torneario”. Un’espressione, quest’ultima, che ne identifica immediatamente l’uso: costituire la principale protezione del cavaliere durante un torneo. Rispetto a quelli utilizzati in guerra, presenta una caratteristica “tacca”, un incavo posto sul margine superiore sinistro di chi guarda dentro il quale veniva letteralmente incastrata la lunga lancia del cavaliere. Le punte acuminate poste sul lato destro (sempre di chi guarda) avevano, invece, una funzione offensiva: il cavaliere poteva utilizzarle per menare fendenti contro l’avversario se ambedue si fossero trovati a combattere a piedi.
Sopra lo scudo trova posto un elegante elmo da combattimento trecentesco, diretto erede del duecentesco elmo a berretto. L’elmo in cima allo scudo, che araldicamente è indice di vera nobiltà e vien portato solo dai cavalieri, è una solida struttura in acciaio, senza parti mobili, completamente chiuso e con una stretta fessura all’altezza degli occhi per la visione.
Sopra di esso troviamo degli svolazzi che in origine, essendo di tela, dovevano proteggere l’elmo dall’eccessivo irraggiamento solare. Fanno la loro apparizione in araldico all’inizio del Trecento e conferivano al cavaliere un aspetto di eleganza e imponenza.
L’elmo è ornato da una corona, il cui modello appare del tutto di fantasia o potrebbe forse essere una personalissima variante delle coronette tipiche della nobiltà non titolata (i da Correggio divennero Conti solo nel 1452).
Infine l’elegante cimiero che si diparte dalla corona. Originariamente si trattava di un elemento decorativo, realizzato in materiali leggeri (cartone, stoppa o panno con anima in legno), la cui funzione poteva essere tanto di semplice abbellimento quanto di riconoscimento del cavaliere le cui fattezze erano celate dall’elmo chiuso quanto “militare”. Dando l’impressione di una maggiore imponenza di chi lo portava, si sarebbe potuto indurre anche ad un maggiore timore l’avversario.
Il cane a fauci spalancate che compare sull’elmo è uno dei più caratteristici simboli araldici della famiglia: il levriere , in questo caso “collarinato”, cioè con un collare attorno al collo.

Notiamo poi sull’elmo uno dei simboli araldici più caratteristici della famiglia dei da Correggio: il levriere.

Allora Giberto pose il cimiero dell’arma sua la corona regale, dalla quale esce un can levriero, alludendo alla vittoria che ebbe per cagione della caccia suddetta, e perciò si vede così scolpito in marmo nella lapide della sua sepoltura in S. Francesco di Correggio  e nella pilastrata della scala di S. Francesco scolpita in marmo”.

Così le Antichità Coreggesche, che riuniscono la Cronaca Zuccardi tradizionalmente attribuita a padre Lucio Zuccardi (Corrado Corradini propone invece il nome del canonico correggese Francesco Zuccardi), le postille di Quirino Bulbarini e le annotazioni di Giulio Cesare Marchi Castellini, ricordano l’episodio bellico che sarebbe stato all’origine di uno dei più caratteristici simboli araldici dell’arme dei da Correggio: la testa di cane, collarinata e linguata (così in linguaggio araldico), cioè con un collare attorno al collo e la lingua guizzante al di fuori delle fauci spalancate, rivolta alla destra araldica (cioè verso la sinistra di chi guarda).
Un simbolo che compare con grandissima frequenza dalla seconda metà del XIV secolo sul cimiero (ornamento esterno allo scudo, posto sulla sommità dello stesso) dello scudo. In alcuni casi la testa di cane esce da un cercine (piccolo rotolo di stoffa rigonfio e attorcigliato a ciambella, posto sul cucuzzolo dell’elmo), poi da una corona.
Ampiamente diffuso, come si è detto, dalla seconda metà del XIV secolo fu in uso pressoché costante fino alla metà del XV, diventando un elemento distintivo dall’arme di famiglia.

Anche se nel 1454 l’elevazione di Correggio a Contea imperiale portò alla concessione e all’introduzione di un nuovo stemma, quello antico rimase in auge per alcuni decenni, salvo poi scomparire per tutto il XVI secolo.
Solo nel corso del primo Seicento venne ripreso da Giovanni Siro, Principe e ultimo Signore di Correggio, nei suoi complessi stemmi.

Il significato della figura del cane è stato variamente interpretato. Abbiamo visto Antichità correggesche, cui si conforma anche l’Arrivabene nelle sue Notizie. L’episodio è noto, facendo riferimento ad un episodio che avrebbe coinvolto Giberto IV (secondo alcune genealogie) da Correggio, che il 16 giugno 1247, capeggiando le forze guelfe, avrebbe sconfitto Federico II di Svevia che aveva posto l’assedio a Parma.
Qui il condizionale è assolutamente d’obbligo, perché le fonti del tempo divergono sostanzialmente dalla ricostruzione di Arrivabene e Antichità. Non si parla, infatti, di Giberto, bensì di Gherardo de Dentibus  (per la sua imponente dentatura, come lo descrive il cronista Salimbene de Adam), ma, soprattutto, la battaglia che segnò la sconfitta dell’esercito imperiale avvenne ben sette mesi più tardi, il 18 febbraio 1248. La corona regale, poi, sarebbe stata presa, secondo Affò che segue Salimbene, da un popolano di nome Cortopasso e, acquistata dal Comune, posta nella Sagrestia della Cattedrale di Parma.

L’ipotesi militaresca, quindi, appare poco convincente, benché Gherardo de Dentibus, podestà di Parma nel 1247,  fosse all’epoca uno dei capi del partito guelfo in “Lombardia”.

Se ampliamo il nostro panorama araldico, il cane collarinato compare, in varie versioni, anche nello stemma dei della Scala, Signori di Verona, dei Roberti di San Martino, dei Canossa, dei Parisetti di Reggio e in alcuni rami dei Gonzaga, tra cui quello di Novellara.

A questo punto, per comprendere il vero significato dell’immagine bisogna rifarsi alla scienza araldica e all’interpretazione che viene fatta dei singoli simboli.
Il cane, in particolare, viene solitamente riprodotto di profilo e passante, cioè nell’atto di camminare e passare da un lato all’altro dello scudo. Tre sono le principali razze riprodotte: il levriere (o veltro), come nel nostro caso, con il corpo magro e slanciato e le orecchie tese, il mastino e il bracco. Ne possono comparire anche altre, ma con minore frequenza.
Può avere anche molte altre rappresentazioni (corrente, sedente, rampante, coricato eccetera) e simboleggia la vigilanza, la fedeltà, l’amicizia e l’obbedienza. Per testimoniare in modo ancora più chiaro la fedeltà al Sovrano o a un’altra autorità, è raffigurato con un collare e talvolta con una catena.
Ecco dunque il vero significato del levriere dei da Correggio, simbolo di quella fedeltà all’Impero che li avrebbe portati, tra Quattrocento e Cinquecento, ad una posizione di grandissimo rilievo e prestigio tra la nobiltà padana del tempo.

Stemma dei da Correggio a Palazzo dei Principi

Chi osserva lo spettacolare portale istoriato del Palazzo dei Principi, può notare al centro dell’architrave lo stemma della famiglia sorretto dalle zampe di due bizzarri animali. Si tratta di due grifoni, seduti e affrontati, cioè posti l’uno di fronte all’altro, faccia a faccia. Il grifone era un animale fantastico. Aveva busto, collo, testa e ali d’aquila, la parte posteriore e la coda di un leone, i piedi anteriori con lunghi artigli e orecchie aguzze come quelle dei cavalli.
In araldica simboleggia la ferocia. Nel nostro caso allude alla “ferocia”, cioè al valore in battaglia dei da Correggio.

L’elegante vera da pozzo che accoglie i visitatori del Palazzo appena entrati, sulla destra, in origine non si trovava all’interno del Palazzo stesso, ma nell’attuale Piazza Garibaldi. Venne collocata negli anni Trenta del secolo scorso da Riccardo Finzi.
L’iscrizione riporta il nome di colui che la volle, Giberto X da Correggio (o VII, secondo una diversa e più moderna numerazione)  e la data di realizzazione (1507), un anno prima del completamento del Palazzo. Sotto troviamo gli stemmi di Giberto (guardando a sinistra) e, a destra, quello della prima moglie, Violante Pico, figlia di Antonio Maria Pico, Conte di Concordia, e di Costanza Bentivoglio dei Signori di Bologna.

Proseguendo al piano nobile del Palazzo, lungo il percorso museale, lo stemma si ripresenta nell’ambiente di maggior prestigio, la Sala del Camino, campeggiando al centro del fregio che ne orna la parete antistante il grande camino posto sul lato occidentale. Raffigura, guardando alla sinistra dell’osservatore (destra araldica), lo stemma dei da Correggio, con le caratteristiche tre fasce di rosso e bianco sormontate dall’aquila e dai leoni affrontati (cioè posti l’uno di fronte all’altro) e a destra (sinistra araldica) il leone rampante e coronato dei da Brandeburgo. E’, infatti, lo stemma di Francesca di Brandeburgo, vedova di Borso da Correggio, che volle la costruzione del palazzo.



Gabriele Fabbrici

Per approfondire: Antichità correggesche, Correggio 1881; G. Fabbrici, Araldica dei da Correggio: i secoli XIV e  XV, in Correggio Produce 2002, Correggio 2002, pp. 94-105 (part. p. 100); G. Mantovani, Correggio (dvd sull’araldica dei da Correggio, del Comune e della Parrocchia di San Quirino – consultabile presso la Biblioteca del Museo “Il Correggio”).

Ultimo aggiornamento

3 Novembre 2023, 10:40