Allegri Antonio, detto Il Correggio

Antonio Allegri nasce a Correggio probabilmente – stando alle scarse testimonianze coeve relative alla sua vita – nel 1489 da Pellegrino Allegri e Bernardina Piazzoli Aromanni.

Correggio, piccolo stato feudale innalzato a contea dall’imperatore Federico III nel 1452, in quegli anni vive una straordinaria fioritura culturale prima sotto Niccolò II da Correggio, condottiero e umanista cugino di Ercole I d’Este e vicino alla cerchia di Lorenzo il Magnifico, poi sotto Borso, che assieme alla consorte Francesca di Brandeburgo fa costruire l’elegante palazzo dei Principi, le cui forme guardano al rinascimento ferrarese, e sotto Giberto VII, che anche grazie alla moglie, la poetessa Veronica Gambara, consolida i legami fra la piccola corte e i grandi centri dell’umanesimo.

L’ambiente famigliare di Antonio è agiato e colto: il padre, mercante, proviene da una famiglia che al commercio ha affiancato la medicina e la pittura. Ed è probabilmente sotto la guida dello zio Lorenzo che il giovane muove i primi passi nell’arte, per poi spostarsi – come vogliano alcune fonti – a Modena presso Francesco Bianchi Ferrari e infine approdare ancora giovanissimo – probabilmente intorno al 1504 – alla bottega di Andrea Mantegna a Mantova. Nel frattempo, Antonio prosegue anche gli studi di scienze a quanto pare sotto la guida di Giovanni Battista Lombardi (che più tardi sarà testimone alla nascita del figlio Pomponio); una ulteriore prova del rapporto tra lo studioso e il pittore è la notizia che un manoscritto – purtroppo perduto – recante la traduzione della Geographia di Tolomeo da parte di Francesco Berlinghieri riportava due sottoscrizioni, una di Lombardi (in data 1 febbraio 1488), l’altra del Correggio (in data 2 giugno 1513).

L’approdo a Mantova offre al giovane l’occasione per dimostrare il proprio talento: assieme a Francesco, figlio di Andrea Mantegna, nel 1507 Antonio affresca la cappella di San Giovanni Battista in Sant’Andrea, che di Mantegna ospita il sepolcro. Sempre in Sant’Andrea, uno storico mantovano del primo Seicento attribuisce ad Antonio due tondi a fresco raffiguranti la Sacra Famiglia con i santi Elisabetta e san Giovannino e la Deposizione.

Conclusa la prima formazione, il giovane artista dipinge opere già di straordinaria qualità come la Natività di Brera e – prima sua opera a essere documentata da un contratto (1514) – la Madonna di San Francesco (per la chiesa di San Francesco a Correggio, e oggi a Dresda); è proprio da questo contratto che si ricava, seppure in forma dubitativa, la data di nascita del pittore verso il 1489.

Negli stessi anni (1512-1514) possiamo ipotizzare un viaggio a Piacenza (dove era giunta la Madonna Sistina di Raffaello) e a Bologna (dove era da poco arrivata la Santa Cecilia, dello stesso pittore urbinate). Ma Antonio dovette recarsi anche in Lombardia, per osservare le opere di Bramante, di Leonardo, di Lorenzo Lotto.

In questo secondo decennio del Cinquecento si apre inoltre la dibattuta questione del viaggio a Roma, un viaggio non documentato, ma certamente avvenuto: è nella capitale della cristianità che Antonio ebbe modo di ammirare i grandi capolavori di Michelangelo e Raffaello, nonché le opere architettoniche e scultoree della città antica. Si forma così un repertorio di immagini e suggestioni che riemergeranno nella produzione successiva, a partire dagli affreschi della Camera di San Paolo a Parma.

Da questi viaggi, Antonio riporta in patria la “maniera moderna” dei grandi maestri: quella maniera che, secondo Giorgio Vasari, proprio Correggio usa per primo in Lombardia, ovvero a nord della Toscana.

Gli anni seguenti sono quelli della definitiva affermazione: il Correggio è ormai un artista noto e ricercato e i committenti sono disposti a stipulare con lui contratti con anni d’anticipo sull’effettiva realizzazione delle opere. Sono gli anni delle grandi commissioni parmigiane: nel 1518-1519 affresca la già citata Camera della Badessa nel monastero di San Paolo e nel 1520 mette mano alla cupola di San Giovanni Evangelista. In questa chiesa lavora negli anni successivi assieme ai propri aiuti, fra i quali figura un giovane Parmigianino.

Nel frattempo, Antonio si trasferisce a Parma con la moglie Jeronima Merlini, sposata nel 1520, e con il primo figlio, Pomponio, nato nel 1521. In questo stesso anno, la congregazione benedettina cassinese lo accoglie nella propria fratellanza, tra i “singulares devotos”, cioè coloro che erano “devoti in modo speciale”. A Parma, tra 1524 e 1527, il pittore avrà altre tre figlie (Francesca Letizia, Caterina Lucrezia, Anna Geria): una famiglia numerosa le cui esigenze, secondo Vasari, costringeranno Correggio a lavorare a ritmi serrati per tutta la vita; nel 1529 muore la moglie.

Negli anni in cui risiede a Parma, è attivo anche in patria e nei centri emiliani circostanti. A Reggio Emilia, nel 1522, riceve la commissione per uno dei suoi capolavori, l’Adorazione dei Pastori, meglio nota come La Notte, destinata alla cappella Pratonieri in San Prospero. A Parma dipinge la Madonna di San Girolamo, detta anche Il Giorno, per la cappella della famiglia Bergonzi nella chiesa di Sant’Antonio Abate. A Modena lavora sia per committenti privati, che per le sedi di due confraternite. A Mantova lavora per committenti privati – per Nicola Maffei esegue Mercurio istruisce Cupido alla presenza di Venere, e Venere e Cupido con un Satiro – ma anche per la marchesa Isabella d’Este.

Nel 1524 viene saldato al pittore il pagamento per i lavori in San Giovanni Evangelista a Parma. L’anno dopo, figura, insieme ad altri pittori, tra i periti consultati a proposito dei restauri alla chiesa parmense della Steccata.

Negli stessi anni sono in corso i lavori per la cupola del duomo di Parma, dove l’artista mette mano a un’altra impresa straordinaria: il grande affresco con l’Assunzione della Vergine, la cui tormentata realizzazione, in buona parte testimoniata dai documenti, inaugura l’ultima fase della pittura correggesca.

Fra il 1530 e il 1533 Correggio dipinge per il duca di Mantova Federico II Gonzaga (1500-1540), figlio di Isabella d’Este, quattro grandi tele raffiguranti gli Amori di Giove, forse destinate a Carlo V: la Leda, la Danae, il Ratto di Ganimede e il Giove e Io. In queste ultime opere la perizia di Correggio nella resa dell’incarnato raggiunge il suo apice: secondo la testimonianza di Giorgio Vasari, Giulio Romano, avendo visto la Leda correggesca, dichiarò di “non aver mai veduto colorito nessuno ch’aggiugnesse a quel segno”.

Quest’ultima, suprema stagione pittorica ha però breve durata: il 5 marzo 1534 Antonio Allegri muore improvvisamente a Correggio e viene sepolto nella chiesa di San Francesco accanto a una delle sue prime grandi opere, la pala della Madonna di San Francesco ultimata nel 1515, e oggi conservata alla Gemäldegalerie di Dresda.

Secondo una maldicenza priva di riscontri, riportata dallo stesso Vasari, il pittore, sempre tormentato dalle esigenze del bilancio famigliare, sarebbe morto di fatica e di caldo per essersi recato a Parma per riscuotere un pagamento di sessanta scudi ricevuto in quattrini.

Carlo Baja Guarienti